Progetti

Art Therapy Book

Questo è un tema che amo: come l’Arte può rendere più sopportabile un momento difficile e restituire una fotografia di ciò che è passato.

Può non essere il tema più innovativo, ma sperimentarlo è diverso che leggerlo sui libri degli altri, e allora qui c’è il risultato di ciò che ho cominciato a produrre nell’estate del 2017, dopo l’Incidente.

(Di seguito, per completezza d’informazioni e amore del contesto, un approfondimento rispetto alle due righe appena esposte. Nel caso plausibile in cui volessi evitarlo, puoi andare direttamente al termine dell’elenco.)

L’Incidente è stato un singolare episodio che ha fatto incontrare troppo da vicino la mia faccia e l’asfalto di una strada milanese.

Ha la I maiuscola perché grazie a qualcosa o a qualcuno è stato l’unico vero incidente che mi sia mai capitato, e poi perché ha fatto molta scena per delle motivazioni che per comodità proverò a riassumere in tre categorie:

  1. QUANTO FA MALE COME FAI A SOPPORTARLO. Spaccarsi il mento e il labbro e come conseguenza fratturarsi la mandibola in effetti fa molto spettacolo ma anche molto male. O almeno, a me ha fatto molto male. Non lo auguro a nessuno e, spoiler, ipotizzare di frullare la pizza per sopperire la sua mancanza per mesi non è una buona idea. Quindi, a onore di chi ha abbracciato questa prima categoria con come stai e forza che ne uscirai, devo dire che ho apprezzato sul serio ogni dimostrazione di vicinanza.
  2. Non è carino che una ragazza si ritrovi a somigliare ad un quadro di Picasso. (Non è una similitudine qualunque. Deriva dall’immagine inviatami con grande senso di ironia dal mio allora direttore creativo – mi sono fatta una risata sbilenca). La domanda latente è: sei una ragazza, la tua faccia ha dell’importanza. Tornerai più come prima? Cosa che, ad essere proprio sincera, non è che in quei mesi mi preoccupasse. Io volevo solo smettere di stare male, o perlomeno che tutto quel soffrire avesse un senso. Ammetto di aver pensato seriamente in quel periodo che il karma mi dovesse qualcosa. Ma davvero? Neanche un minuscolo regalo perché sono sopravvissuta e ho riaperto la bocca di un centimetro e mezzo dopo il primo mese?
  3. Ma riesci a mangiare? Ti farebbe bene una bella bistecca per tirarti su. Rispettivamente: per i primi due mesi no, non sono “riuscita a mangiare” come noi persone fortunate che normalmente possiamo masticare immaginiamo voglia dire nutrirsi. Ma sì, sono riuscita a mangiare perché la mia pazientissima madre è giunta fino a Milano per prendersi cura di me e non farmi morire di fame. Cosa che sono certa sarebbe accaduta senza di lei. (Se qualcuno dovesse avere bisogno di maggiori informazioni circa il percorso nutrizionale adottato da me, sono a totale disposizione. Tenendo però conto del punto due). Ovvero: io sono vegetariana. NO, NON VOGLIO FARLA UN’ECCEZIONE, NO NEANCHE IN OSPEDALE PERCHÉ ANCHE SE È OMOGENEIZZATO LO SENTO DALL’ODORE CHE È A BASE DI PESCE. E riconosco anche l’omogeneizzato di pollo. Ho la mandibola rotta, non l’anosmia. Diamine.

Fine dell’elenco, e del contesto.

Quello che ho cominciato, in quell’estate turbolenta fatta di visite al Policlinico invece che al mare, è stato un taccuino formato A5. Ma invece di scriverci, come avrei fatto con un qualsiasi altro taccuino, l’ho usato per tirare fuori quello che avevo dentro, dandogli una forma che prima di cominciare non avrei saputo definire. L’ho chiamato Art Therapy Book.  Ok, avrò fatto anche naming migliori nella mia vita da copy ma mi sembrava facesse il suo lavoro, e ne sono ancora convinta.

Ognuna di quelle pagine mi ha dato modo di liberarmi di un peso, ringraziare di un gesto, parlare diversamente, perché anche parlare all’inizio era faticoso.

A riguardarle, posso dire con precisione dove mi trovassi e le persone a cui stessi pensando.

Quella libertà che deriva dal poter avere uno spazio intaccabile su cui mettere le mani senza altra esigenza che quella di vedere cosa apparirà sulla carta, è ciò che auguro di provare a chiunque nella vita di ogni giorno, e soprattutto in un momento difficile. Insieme a mia madre che mi ha salvato indiscutibilmente la vita, sono certa che anche questo quaderno abbia contribuito con la sua azione terapeutica.

Le pagine di quel taccuino ho continuato a riempirle nel corso del tempo, molte le ho condivise sul mio Instagram, ma queste non sono che la metà. L’ultima è del mese scorso.

Grazie per esere arrivato fino a qui, a presto.
Veronica