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Postcards From Home

Nell’articolo Wondering into Wonder del n30 di Flow, si cita Dijksterhuis, un professore di psicologia alla Radboud University in Olanda, autore del libro “Anyone who doesn’t travel is crazy”. Dal suo punto di vista, uscire dalla comfort zone su base regolare, è terapeutico per la nostra mente e il nostro cuore. E il modo più naturale di farlo, è viaggiando.

Lo shock culturale, l’essere sopraffatti da stimoli, avere un alto grado di tolleranza per l’incertezza e fare esperienze nuove, sono eccellenti “esercizi di stretching mentale”.

Come capita con tutti gli articoli in cui si parla degli effetti benefici del viaggiare, dopo averlo letto ero molto felice. Perché è sempre bello avere nuove evidenze del fatto che una cosa che già ti piace da impazzire, sia anche salutare.

MA.

La lettura è avvenuta durante il lockdown. E questo mi ha costretta a rivedere il tutto da un’altra prospettiva. Che non contemplasse aerei, e neanche due scarpe ai piedi.

Abito da sola in 30mq più terrazzino, e guardandomi intorno mi è sembrato che l’unico modo di praticare la benefica arte del viaggiare fosse facendolo mentalmente. A supporto, una piccola zine che tengo fortemente in considerazione e che recita:

“While it is true that wandering often involves walking, it does not always have to. You can also enter into the wandering mindset while sitting. The stationary wanderer can observe be present, pay attention, and be open to the unknown – all while remaining still.”

Ok, mi son detta io: se è possibile viaggiare stando fermi, nulla mi vieta di vedere dove arriverò, e da lì mandare una cartolina di saluti.

E così è nato #PostcardsFromHome.

#1 A tutti gli spaesati.

Nel viaggio mentale del giorno sono atterrata su un piatto di pasta. Mi è apparso subito come un luogo piuttosto affascinante, quindi mi è sembrato il minimo spedire una cartolina da qui. Credo sarà una sosta breve, ma una pausa pranzo non me la toglie nessuno. 


#2 A chi viaggia nel tempo.

Ai voli cancellati, ai biglietti dei bus conservati nelle scatole, alle fotografie stampate, alle cene ovunque, ai letti scomodi, alle scoperte insignificanti, ai progetti sospesi, agli sconosciuti, ai “ti ricordi?” volevo dire che noi siamo ancora qui.


#3 A chi continua a guardare

Ti devi fidare dei luoghi familiari perché se continui a guardare diventano innaturali, allora con l’istinto di una gazza ladra puoi trovare detriti luminosi da conservare in sacchettini chiamati testimonianze. (Ma questo me l’ha insegnato Remo Bianco).


#4 Ai malinconici tendenti alla speranza.

In attesa di andare da qualche parte, in un tempo sospeso, da un luogo chiamato tana scriviamo cartoline per nessuno, ma continuiamo a scriverle.


#5 Agli ostinati, nonostante tutto.

Ci vuole una certa buona volontà a tenere insieme tutti i pezzi. Si cambia, si scivola, uno può anche sentirsi dissestato, potrebbe voler provare un’altra forma. Ad ogni modo gli ostinati trovano sempre come ricomporsi, magari finiscono pure per riconoscersi.


#6 Ai connessi, ovunque si trovino.

Questa cartolina arriva da quel punto imprecisato dello spazio-tempo in cui tutto si connette: Julia Cameron, The Midnight Gospel, i piattini decorati, lo yoga, la psicologia, Thoreau, la musica elettronica, la quarantena, anche i pastelli Caran D’Ache della prima comunione. Tutto. Ecco, è il punto imprecisato più rassicurante che conosca.


È stato bello, stimolante, ho guardato diversamente questi 30mq, ho tirato fuori scatole dei ricordi, disegnato, fotografato e sono stata molto fiera dell’hashtag ossimorico (che comunque, come ogni cosa, esisteva già): ma ora ridateci gli aerei e gli Airbnb, i festival e i musei. 🙏

In fede, Veronica.