Libri
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Dallo scaffale (pt. 2)

Breve riassunto dal post precedente: i libri si fanno trovare quando vogliono che li leggiamo. Quelli che seguono mi sono capitati per le mani durante la quarantena, e penso la loro intenzione fosse di spalancarmi gli occhi, prevenendo la sindrome da sguardo-stretto facilmente contraibile in un mini appartamento milanese.

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1. Settembre 1972 (Imre Oravecz)

Poesia in prosa o romanzo in versi, il punto arriva alla fine della scena narrata, in mezzo solo le virgole, a segnare quello che sembra un tempo vissuto anche sulla nostra pelle. Autobiografico, drammatico e fin troppo vivido. Siamo al primo libro della lista è l’asticella è già altissima.

2. Un lavoro vero (Alberto Madrigal)

Che il cielo benedica le graphic novel, i colori di Alberto Madrigal e la leggerezza malinconica con cui descrive l’urgenza di seguire la propria strada, anche se la propria strada è quella di disegnare fumetti (un giorno riusciremo a scardinare l'”anche se” nei confronti dei lavori creativi).

3. Il Maestro e Margherita (Michail Bulgakov)

Per me non è stata una lettura, ma una sfida. Qui dentro ci sono vite, decine di nomi russi, molteplici punti di riferimento (per me ignoti), Gesù, Satana, il manicomio, la poesia, l’amore, la morte, la storia, una grandiosa immaginazione. Non è stato facile, non credo lo rifarei, ma sono contenta d’aver portato a termine queste 534 pagine, sia perché sono sopravvissuta, sia perché certi capitoli sono così perfetti da non poter pensare siano stati scritti da un essere umano.

4.Storie vere e verissime (Ermanno Cavazzoni)

Che ironia! Che leggerezza! Che verità! Dopo Bulgakov e nell’inquietante principio della quarantena questi racconti sono stati una boccata d’aria fresca (anche amara), necessaria.

5. Io cammino da solo (Henry David Thoreau)

Autore mentore, persona ingestibile, non c’è niente di meglio che trovare i diari di uno scrittore di cui sei già innamorata. Questi in particolare non sono così intimi perché Thoureau li ha sempre concepiti come parte di un’opera e dunque suscettibili di pubblicazione, ma grazie alla loro ampiezza ci si può perdere felicemente nella mente di questo eretico della società. (Nonostante il titolo del libro non sia frutto dell’autore, rende bene l’idea che Thoreau fosse piuttosto a suo agio nella solitudine. In pieno lockdown questa lettura ha assunto una forza smisurata).

6. L’albergo delle donne tristi (Marcela Serrano)

Questo libro mi è stato consigliato al momento giusto. Mi ha fatto appassionare ancor di più alla letteratura cilena e, nonostante il femminismo non sia un tema a me così caro, mi ha aperto gli occhi su questioni che nemmeno da donna avevo ancora considerato. (Dalla metà in poi, personalmente, è decollato e mi ha tenuta incollata alle vicende di queste donne in isolamento per ritrovare loro stesse. Altro hot topic per la quarantena).

7. Patanjali rivelato (Swami Kriyananda)

8. La scienza dello yoga (I. K. Taimni)

Non ho ancora terminato nessuno di questi due libri, che di fatto sono commentari agli Yoga Sutra di Patanjali. Il numero 7 è abbastanza comprensibile per essere letto in autonomia, il numero 8 lo sto studiando con la mia insegnante di yoga nelle lezioni di filosofia. Mi è impossibile tentare di raccontare questi libri in poche righe, affrontano temi troppo grandi. Ma di certo sono tra quelli che meglio mi ricordano di aprire questa mente.

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9. Metodo Mindfulness (Mark Williams, Danny Penman)

Nel frattempo ho cominciato un corso di meditazione. Il mio insegnante mi ha consigliato questo libro che attualmente rappresenta la mia salvezza. Senza corso non avrei apprezzato tanto il manuale, senza manuale non avrei a portata di mano quello che mi serve, nel momento in cui mi dimentico un passaggio o mi ritorna la necessità di approfondire un aspetto della mindfulness. Posso solo dire che quando, nella prima lezione, ci è stato detto “La meditazione è il regalo più bello che possiate farvi”, dopo qualche mese di pratica mi sento di confermare con convinzione la sua veridicità.

10. In acque profonde (David Lynch)

Ebbene, uno dei registi più controversi e mitizzati pratica da più di trent’anni la meditazione trascendentale. In questo libro esordisce dicendo di voler raccontare gli aneddoti legati alla pratica, di fatto non si approfondisce molto il tema, per cui personalmente ho trovato tutto godibilissimo e interessante, ma un po’ superficiale rispetto alla premessa.

11. La scuola di pizze in faccia (Zerocalcare)

Avevo scritto che non avrei consigliato dei libri. Ma Zerocalcare come si fa a non consigliarlo? Anzi a pregare perché tutti, dai 12 anni in su, ne leggano almeno uno, dei suoi fumetti? Zerocalcare è indispensabile. Se non vi piacciono gli zombie basta evitare Dodici

12. La schiuma dei giorni (Boris Vian)

Autore, trombettista, drammaturgo, traduttore, ingegnere, fondatore di un locale notturno nella Francia degli anni Cinquanta, Boris Vian muore a 39 anni dopo aver lasciato una vita surreale, molto mistero e capolavori incredibili, come La schiuma dei giorni. In meno di 300 pagine c’è un’esagerata quantità di vita, Amore incondizionato, un dramma spietato e delle immagini che mi fanno pensare che “genio” sia l’unico modo di concepire un uomo come Vian. Veramente, non è di questa Terra scrivere e immaginare come faceva lui. Se ci penso ricomincio a piangere.

13. Illuminations (Arthur Rimbaud)

Parlare di Rimbaud per me è impossibile. Le sue Illuminations sono state concepite tra i suoi 18 e 20 anni e raccolte, commentate, interpretate e analizzate da qualsiasi studioso sulla faccia di questo pianeta. Non mi sembrerebbe strano se ciò fosse avvenuto anche da parte di qualche alieno. Io quindi non ho niente da aggiungere, anzi, dato che mi manca molta della cultura probabilmente necessaria per comprenderle, mi limito a rubare ciò che mi interessa e mi fa venire i brividi. È destabilizzante avere accanto un libro che ogni volta che si prende in mano ha qualcosa di nuovo da mostrarti.

14. Ho paura torero (Pedro Lemebel)

“Pedro Lemebel è nato a Santiago negli anni Cinquanta, povero e maricón.” Adorato in Cile, Pedro era un sovversivo vero, di quegli artisti disposti a esporsi a viso aperto contro una dittatura. Nel suo romanzo c’è la Fata dell’angolo, protagonista dello stesso scenario ben conosciuto dall’autore, la Santiago di fine anni Ottanta. Alla Fata, Lemebel si riferisce ad ogni riga con un genere diverso. Che sia un lui o una lei comunque poco importa, perché non si può far altro che amarla nel suo essere barocca e vitale, amando così anche Pedro e la sua lucidità piena di gioia travolgente e di una costante sensazione di malessere. Quando s’incontra un libro così, c’è solo da ringraziare.

Amerei sapere i vostri pensieri e conoscere le letture che avete incontrato. Da libro nasce libro.

P.S. 

Ho linkato ad Amazon i libri di case editrici senza e-commerce, ma se avete la possibilità di andare nella libreria sotto casa, mano sul cuore, fatelo.

A presto,
Veronica